La macchina del tempo

La Grande Guerra e lo Spiz Zuel

Una lettrice ci racconta le sue impressioni camminando lungo i sentieri dello Spiz Zuel, una volta attraversati dalla Linea gialla, linea difensiva durante la Grande Guerra.

 

E’ una splendida giornata di sole, la Moiazza è accarezzata da una morbida luce piena di foschia. Parto con un piccolo zaino, l’escursione è breve e semplice, ci impiegherò più o meno un’ora e mezza per arrivare sulla sommità dello Spiz Zuel. Montagnetta, colletto, così lo chiamo, come se fosse una sorta di ibrido, in realtà perché covo verso di lui un po’ di risentimento, è colpa sua se da casa mia non vedo il Pelmo. Un’altura erbosa di 2.033 metri, che si staglia proprio lì, tra Goima e la parte alta di Zoldo, raggiungibile in scarpe da ginnastica nel giro di un pomeriggio, partendo da quel paradiso terrestre che è la Grava.

Da qui parte una mulattiera, ancora perfetta, costruita durante la Prima Guerra Mondiale per trasportare le armi fino alle gallerie, o altri materiali sino in cima, dove c’erano le piazzole di artiglieria all’aperto, i camminamenti, l’osservatorio…

Lo Spiz Zuel offre un’ampia vista che spazia lungo il territorio della valle, quello che oggi noi chiameremo semplicemente “panorama”, durante la Grande Guerra pensato in chiave strategica. Lo zaino è leggero, penso al peso dei componenti che costituiscono i cannoni sulle spalle di ragazzi giovanissimi.

Lungo il mio cammino incontro di tutto: cavalli che cercano refrigerio, pecore, muli, qualche asinello.

Si respira una quiete, una pace e un silenzio da portarti a dimenticare come questi luoghi siano stati scelti un tempo per la guerra.

Passeggio tra arniche, farfalle, ma soprattutto mucche, procedendo su mille sassi incastonati sulla via, se mi volto posso vedere da lontano lo scorrere impetuoso dello Spisolot della Moiazza. Si arriva a una fontana, che raccoglie le acque fresche della sorgente dello Spiz Zuel.

Guardando verso l’alto a nord ovest sono ancora visibili le fortificazioni della Linea Gialla: muretti sgretolati, confusi tra la flora dei pascoli. A seconda del brucare degli animali (se hanno “tagliato” l’erba efficientemente oppure no) talvolta sono raggiungibili, facendo comunque attenzione.

Sento che non so se è un male veder scomparire quei resti, quei segni di guerra, vederli integrarsi col paesaggio. Mi fa un effetto strano immaginare questo luogo magnifico concepito solo per un aspetto funzionale, freddo, in attesa di essere colpito, offeso, magari ricordato con odio da chi lo ha vissuto in questi termini.

Quasi mi sembra normale quell’adattarsi lento della natura alla presenza di queste opere dell’uomo, neanche troppo antiche purtroppo.
Arrivo in cima, qui una volta era collocato l’osservatorio.

Quello che vedo toglie il fiato, il Pelmo (finalmente!) con il Crot, le Tofane, l’Antelao, la catena del Civetta, il Bosconero e il Mezzodì. Un susseguirsi di rocche e di montagne che sembra non terminare mai. Ed è da qui molto più che a valle, proprio da qui per assurdo, che ti rendi conto di come confini e linee immaginarie imposti dagli uomini, in realtà non esistono.

Una lettrice

“Spiz Zuel” pubblicazione curata dal Cai sezione agordina, luglio 2002 (tipografia Piave).
“Tempore  belli”, di Alberto Alpago-Novello, marzo 1995 (Tipolitografia DBS – Seren del Grappa, BL)




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