La macchina del tempo

Salire e scendere nel tempo

Monte Framont, Voltago, Agordo, Listolade, Dont, M.te Rite… cos’hanno in comune queste località che ci accompagnano lungo la traversata da Forcella Aurine a Forcella Cibiana passando per il Passo Duran? Non molti sanno che nell’ultimo secolo a ciascuna di queste località è stato associato il nome di una formazione geologica, che ha identificato un preciso tipo di roccia al fine di renderla immediatamente riconoscibile a tutti i geologi presenti e futuri.
 
È una questione seria, istituire una Formazione, non è cosa che si possa risolvere in pochi minuti. Per ciascuna esistono articoli scientifici, si sono svolte riunioni di specifiche commissioni, sono stati scritti persino trattati su come si debba procedere per veder riconosciuta una precisa attribuzione. Perché tutto questo sforzo, e perché proprio qui?
 
La prima domanda trova risposta nel modo in cui noi conosciamo il nostro antico passato: leggendo un libro di rocce che ha superato innumerevoli traversie prima di giungere a noi. Ogni località su questo pianeta poggia su un libro di rocce, a cui spesso però mancano molte pagine: lo “storico” che vuole ricostruire la storia deve quindi recarsi nelle varie biblioteche (le montagne) alla ricerca dei pezzi mancanti. E quindi qui rispondiamo anche alla seconda domanda: per ricostruire al meglio la storia delle Dolomiti, delle Alpi e in parte dell’intero pianeta i geologi utilizzano le “pagine di roccia” conservate tra queste valli, perché qui sono conservate meglio che altrove, sono meglio illustrate da fossili di animali e piante o dalle loro impronte sono comprensibili con maggior facilità.
Alla storia delle Dolomiti nel periodo Anisico sono dedicati quindi molti capitoli ambientati in queste valli: il “Conglomerato di Voltago“, oppure la “Formazione di Dont” o ancora i “Calcari di Listolade” sono alcuni di essi e narrano brevi momenti della storia del territorio dolomitico aiutando l’attento lettore a dipanare l’intreccio di storie che si svilupparono oltre duecento milioni di anni fa.
 
Perché quindi dire “si sale e si scende“? Perché se da un lato per vedere queste rocce occorre salire e scendere tre passi, attraversare due valli e faticare non poco, dall’altro la storia che queste formazioni rocciose descrivono è la storia di un mare inquieto, il cui livello saliva e scendeva allagando queste aree per poi lasciarle, emerse, in balia dell’erosione e del carsismo. Quest’alternanza di movimenti, questo respiro dell’oceano, lascia tracce cromatiche creando alternanze di rosso, bianco, verde, nero che sorprendono chi, salendo e scendendo, percorre questi luoghi.
 
Stefano Furin



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